venerdì 15 aprile 2011

MILANO, IL SALONE DEL MOBILE VISTO DALLA DARIANZA

oggi è venerdì e scrive laDARIANZA



Quando stai pedalando per arrivare nell'epicentro della creatività senti già l'odore del dinamismo, delle idee, della foga e dell'inventiva. Pensi: "mi presento in bici così sembro pure un tipo ecosostenibile e magari passo per creativo pure io". Chissà quanti ce ne saranno. Ti spaventa il pensare di non essere all'altezza. Arrivato tra via Savona e via Tortona, a Milano, durante la settimana del Mobile, sei nel centro del mondo. Sei nella fessura dove tutto accade. E' come quando a una bella ragazza si intravede lo schianto del sedere, perchè i jeans stretti sono troppo bassi. E' lì che vorresti essere ad ogni costo. E finalmente ci sei.
Scendi dalla bici e ti guardi intorno. E' pieno di gente in colonna. Il Carnevale di Rio è meno trafficato. Ma con due differenze. In Brasile il sambodromo è largo 4 chilometri e i tanga 4 centimetri. Qui la strada è larga 4 centimetri e, così a naso, i primi culi che scannerizzi sembrano delle roulottes. Sei comunque fiducioso perchè questa non è la serata della facciata. E' la serata di tutto quello che ci sta dietro, la sostanza e l'idea.
Vedi avvicinarsi una compagnia di amici. I primi che incroci nella selva. Quello alto ha i capelli rasati solo da un lato, dall'altra li porta lunghi come Bon Jovi. Ha un bel paio di occhiali neri grandi con una montatura così spessa che, al  confronto, i tralicci che sostengono il tetto di San Siro sono dei bastoncini di Shangai. L'amica al suo fianco lo guarda ammirata e gli parla guardando verso l'alto. In testa ha una bombetta, ai piedi un paio di scarpe fucsia con un tacco di almeno mezzo metro. Solo a guardarla ti verrebbe da attaccarle dietro un elastico per il bungee jumping nel caso uno dei due ceda. Sarebbe un bel gesto di altruismo. Le gambe sono magrissime e fasciate da un paio di leggins color argento. Il cappotto è un trench color cammello. Ha delle tonalità  che stanno talmente male tutte insieme che si sono presentate da Rita Dalla Chiesa a Forum per tentare di mettersi d'accordo.
Il terzo amico non si capisce di che razza sia. Ha la pelle scura, gli occhiali uguali al primo amico, e un papillon che sbuca fuori dal giubbotto. Se non si tenesse in considerazione la chioma sembrerebbe Arnold da grande. Ed invece ha i capelli lisci e lunghi in maniera a prima vista impossibile per quel genere di razza (forse afro-americano). A sto punto può essere che prima di uscire al posto del gel si sia messo lo Stira&Ammira.
Sono le prime facce che incontri e già ti senti in difetto. Pensi: "cazzo, a giudicare da come sono vestiti, questi come minimo hanno spiegato a Steve Jobs come creare l'Ipad".
Passi oltre. Mentre cammini butti un occhio sul tuo di abbigliamento e ti accorgi che avresti dovuto fare di più. Con il tuo giubbotto di pelle e i jeans stretti sei paragonabile ad un agente Tecnocasa la mattina a Piazza Affari. Vorresti, ma non puoi.
Per sentirti organico a quel mondo finisci in uno spazio dove servono da bere. In tutto il resto dell'anno quei 4 metri quadri senza finestre sono adibiti a magazzino per schede madri dei pc. Ma in questa settimana anche quel magazzino è una installazione. Le schede madri sono state frettolosamente accatastate in un angolo. In quella posizione diventano un'opera, ma messa un pò da parte. Mentre chiacchieri con il tuo amico e ti vergogni quasi a dire ad alta voce che in uffiicio hai avuto problemi con i clienti per un ordine di spugne da toeletta, ti cade l'orecchio sui discorsi del gruppo a fianco. "guavda in sto peviodo sto lavovando a un concetto abbastanza astvatto. Uso la matevia e lo spazio". Dice uno all'altro, tenendo il suo flute di champagne con il mignolo alzato. "Per me invece è un periodaccio -risponde l'altro- la mia ultima personale a New York è andata bene, ma ora devo pensare a qualcosa di nuovo. Solo che qua a Milano non riesco a creare. Non ho il mood. Zona
Sempione non è certo il Greenwich".. Si parlano, ma non si ascoltano. A un "io ho fatto" si giustappone un "e io invece ho fatto". Nessuno fa una domanda. Si aspetta il proprio turno per parlare di sè arrotando la R come la marmitta truccata dello scooter che avevo a 15 anni. E' la fiera dell'autoreferenzialità.
La musica techno minimal va bene venti minuti, dopodichè o ti offrono della roba buona per reggere il viaggio oppure è meglio scappare. Scappi.
Passi oltre. E stavolta stai in mezzo a via Tortona dove è pieno di ragazzi fuori dagli spazi che vendono birre. La prima cosa creativa che ti salta all'occhio è che vendono 5 birre a 5 euro. A quel prezzo a Milano non ti vendono più nemmeno una scoreggia in scatola. Pensi: "o sei creativo o sei cretino per fare quei prezzi". Ma poi ti imponi di pensare che sei tu che non ci arrivi, ti manca la scintilla per capire quei piccoli prodigi del marketing da marciapiede. E' pieno di ragazzi che parlano, ballano, si guardano.
Le maglie a righe orizzontali da marinaio, i Ray Ban Wayfarer (indossati), ma sono le 23.30 e non c'è traccia di aurora boreale. Le polacchine e i jeans tagliati alla zuava come li portava Sampei.
Dai nuovamente uno sguardo a come sei vestito e non riesci proprio a calarti nel contesto. Se indossassi un completo Colmar a ferragosto sulla spiaggia di Borgio Verezzi daresti meno nell'occhio. E non hai niente di figo da raccontare se non che nell'ultimo mese in ufficio ti sei spaccato i coglioni come non mai.
Si è fatta ora di ripigliare la tua bicicletta ed allontanarti dalla Fukushima della creatività. Troppe radiazioni in troppo poco tempo. 
Questa sera hai imparato tre o quattro parole chiave. Installazione. Spazio. Creativo. Io.
Hai imparato anche un concetto. New York, Londra e Berlino sono delle città piene di energia cool. Milano invece fa cagare, ma casualmente in questa settimana si trovano tutti qui. Gli aerei ci cadono in modo incidentale come sull'isola di Lost. Incredibile amisci.
 
Dai ragazzi che tra qualche giorno è tutto finito. Io sarò ancora sulla biciclettina. E voi potrete finalmente cacciare di nuovo fuori il booster dal box. Impennare sulla Comasina pensando di guidare una Cadillac sulla Quinta. A Milano si può. Senza essere visionari.

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